Diametralmente opposti, fisicamente disgiunti e inspiegabilmente uniti in un luogo che è non-luogo, in uno spazio-tempo relativo che porta i due protagonisti a porsi e porci, delle domande esistenzialiste trasposte in piani e punti di vista a volte paralleli a volte distanti ma pur sempre e spesso paradossalmente vicini. Due facce della stessa medaglia che tendono a contaminarsi a vicenda, disvelando a volte tratti che, logicamente parlando, dovrebbero essere agli antipodi del personaggio stesso ma che, attraverso espedienti linguistici ed espressivi azzerano ogni struttura possibile per riportarci ad uno punto zero, in cui fanno la voce grossa il raziocinio e la bestialità, tratti ben conosciuti a tutti gli esseri umani, analizzati, studiati dall’alba dei tempi. Uno spettacolo che dall’assurdo ci conduce, con fare altrettanto surreale a guardare con occhi già ben aperti, qualcosa che da sempre conosciamo e che forse è necessario osservare con uno sguardo più velato, con una serenità tipica di chi, le cose-importanti-della-vita le ha già capite, o forse, non le ha capite affatto. Liberamente tratto e ispirato da “Tuttosa e Chebestia” di Serreau Coline.